giovedì 14 febbraio 2008

Mappe, rete e pensiero

In una conferenza tenuta nel 1951, intitolata “Costruire, abitare e pensare”[1] Heidegger discute il problema della relazione tra spazio e pensiero. Le considerazioni da cui muove riguardano la radice etimologica del verbo abitare, in tedesco bauen, che rivela una originaria vicinanza al verbo costruire, sia nel senso di edificare che di coltivare, e ancor più significativamente al verbo ich bin, io sono. L’idea di Heidegger è che l’abitare sia inscindibilmente connesso al costruire: costruire e abitare non stanno tra loro nella relazione di mezzo a un fine, infatti “non è che noi abitiamo perché abbiamo costruito; ma costruiamo e abbiamo costruito perché abitiamo, cioè perché siamo in quanto siamo gli abitanti(p.98). Si può intravedere, nelle parole di Heidegger, un’anticipazione del concetto più recentemente formulato nell’ambito delle scienze cognitive, dell’embodied cognition, secondo cui lo studio della cognizione umana non può prescindere dal suo essere inserita in uno spazio concreto, quest’ultimo che concorre a strutturare il pensiero stesso. Dice infatti il filosofo tedesco, “lo spazio non è qualcosa che sia di fronte all’uomo” (p.104), intendendo con ciò non solo che il concetto di spazio si estrae dagli oggetti concreti e non esiste anteriormente ad essi, ma anche che lo spazio non può essere ridotto a un contenuto mentale, perché tale rappresentazione è essa stessa formata dallo spazio, per come è percepito. Riportando l’esempio del testo, se pensiamo ad un ponte, il contenuto mentale di questo pensiero è dato dal ripercorrere lo spazio occupato fisicamente dal ponte. Analogamente a come, esempio mio riferito però al tempo, se ricordiamo una musica, riascoltiamo nella mente i suoni che si sono susseguiti l’uno dopo l’altro. Proseguendo, viene quindi da chiedersi cosa significhi propriamente abitare e quali siano le costruzioni, e quali no, che soddisfano tale caratteristica. Per entrare nel merito del discorso, è necessario introdurre la distinzione di Heidegger tra luogo e spazio. Lo spazio, secondo l’etimologia del termine, è qualcosa che è sgombrato, reso libero entro determinati limiti. Quando qualcosa occupa una porzione di spazio, ad esempio un ponte sopra un fiume, si crea così un luogo, che prima del ponte non esisteva. In questo senso: “Gli spazi ricevono la loro essenza non dallo spazio, ma da luoghi.” (p.103)
Ciò conduce ad alcune considerazioni: intanto che ogni progetto architettonico non può che essere elaborato in conformità con le caratteristiche di dove si insedia, seguendo i cambiamenti del paesaggio in cui interviene: per ogni paesaggio, quindi, un’architettura sua propria. Legato a ciò si aprono una serie di riflessioni sulla forma dell’abitare che meglio permetterebbe di realizzare la natura umana. Quando Heidegger introduce il concetto di spazio, come ciò “che è liberato entro certi limiti”, sottolinea che il significato di libertà sia di “lasciar essere qualcosa nella sua essenza” (p.103). Si crea quindi una tensione tra il particolare – riferito ad ogni luogo concreto determinato da un posto – e l’universale - inteso come la ricerca a cui l’edificare dovrebbe tendere per individuare quei principi dell’abitare che permetterebbero all’uomo di esprimere al meglio le proprie potenzialità. Se è vero, come dice Heidegger, che siamo ciò che abitiamo, allora dovrebbe esserci una linea di continuità tra il miglioramento dell’abitare e lo sviluppo delle potenzialità di chi vi abita.
Per riassumere, spazio è ciò che è libero in determinati limiti, entro i quali è dato a qualcosa di esprimere la sua essenza; costruire è fondare e disporre uno spazio; si tratta allora di capire quali siano le costruzioni – nel senso delle abitazioni - o gli strumenti – in senso tecnologico – che liberano le potenzialità di chi ne usufruisce. Anche la tecnologia infatti è uno strumento che concorre a sviluppare le abilità umane, nella misura in cui consente di scaricare all’esterno compiti ingombranti a livello cognitivo, permettendo così all’uomo di orientarsi più facilmente nel mondo e sviluppare di conseguenza altre abilità. Con le parole di Heidegger, “tecnica, per i greci non significa né arte né mestiere, ma: far apparire qualcosa tra le cose presenti. I greci pensano il produrre in base al far apparire” (p.106). Ciò rimanda inequivocabilmente all’idea di creazione di luoghi, nella tecnologia così come nel paesaggio: trasportando il discorso di Heidegger in termini attuali, non è in fondo la Rete un sistema amplificato di ponti che instaurano collegamenti, e quindi creano luoghi, ravvicinando e mettendo in contatto punti prima separati? Analogamente ad un ponte, la Rete è una costruzione che crea un luogo, occupando uno spazio, e dando così vita ad una nuova forma all’abitare. “A partire da questo posto si determinano le località e le vie, in virtù delle quali uno spazio si ordina e dispone”. La tecnologia è una forma dell’abitare e quindi “l’uomo è in quanto abita”, può diventare l’uomo è in quanto dispone della tecnologia. Questa non è semplicemente un mezzo per un fine, la vita pratica dell’uomo, ma è essa stessa già l’uomo. E da qui si può procedere oltre: il ponte è nel concreto ciò che a livello astratto è un sistema di riferimento, all’interno del quale le cose si dispongono l’una nei confronti dell’altra. Ancor prima di Heidegger, Cartesio ha tracciato la prima mappa concettuale: gli assi cartesiani, e il piano che da essi ne risulta, dispongono infatti il limite all’interno del quale si erige il pensiero.
Per concludere con le parole di Heidegger: “che il pensare stesso, nel medesimo senso che il costruire, rientri nell’abitare, solo in un modo diverso, può attestarlo il tentativo di pensiero che qui abbiamo condotto” (p.107).




[1] Pubblicata in Heidegger, M. 1954 Vorträge und Aufsätze, trad. it. Saggi e discorsi“ 1976, Mursia Editore Milano.

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