domenica 17 febbraio 2008

Etnografi di Chicago

La prime ricerche sui fenomeni sociali urbani hanno origine in un luogo emblematico per la storia della città moderna, Chicago.
In meno di un secolo, tra il 1940 e il 1930, Chicago è passata, secondo quanto riporta una ricerca sul tema[1], da circa 5000 abitanti nel 1840 a più di tre milioni nel 1930, la maggior parte dei quali provenienti da fuori degli Stati Uniti.
Non c’è da stupirsi, quindi, se gli studi iniziali sui fenomeni di composizione sociale nella città siano emersi proprio dal cantiere vivente che ha assistito per primo a fenomeni di questo genere. Infatti, la scuola degli Etnografi di Chicago, costituita attorno al primo dipartimento di sociologia urbana dell’Università di Chicago, è diventata un punto di riferimento classico nel panorama degli studi sociologici, antropologici ed economici che riguardano la città.
Il lavoro pionieristico si è avvalso soprattutto del vasto materiale empirico che la metropoli stessa offriva e ha sviluppato un metodo di ricerca sul campo, la cui filosofia è espressa dalle parole di uno dei suoi esponenti:

One more thing is needful: first hand observation. Go and sit in the lounges of the luxury hotels and on the doorsteps of the flophouses; sit on the Goald Coast settess and on the slum shakedowns; sit in the Orchestra Hall and in the Star and Garter Burlesk. In short, gentlemen, go get the seat of your pants dirty in real research.” (Park[2])

Elemento di particolarità dell’etnografia è il metodo, che si fonda sulla partecipazione diretta per la raccolta di dati rilevanti all’analisi: se si vuole conoscere la trama del tessuto culturale urbano è necessario immergercisi, perdersi al suo interno, frammentare il proprio punto di vista nei molteplici sguardi di chi la abita. A differenza che per le tradizionali indagini statistiche, l’obiettivo qui è ottenere informazioni a partire dall’esperienza di chi vive direttamente la città.
Oltre al contributo metodologico, Park è stato tra i primi teorici ad esprimersi riguardo al fenomeno di distribuzione sociale urbana e a individuare una tendenza naturale, da parte di ogni gruppo sociale, ad occupare una propria nicchia “ecologica” e a segregarsi al suo interno. La prospettiva teorica di Park è appunto chiamata ecologia umana, per indicare che i fenomeni riguardanti la distribuzione delle forze sociali nella città, e le istituzioni che sorgono per regolarle, seguono dei principi di adattamento all’ambiente in cui si trovano, in modo analogo, per certi versi, a ciò che avviene nel mondo animale o vegetale.
La suddivisione della città – prosegue Park – è dettata dalla diffusione dei trasporti pubblici e dei sistemi di comunicazione: via via che le aree periferiche vengono collegate tra loro e al centro, i quartieri più ricchi diventano quelli residenziali, mentre il centro lasciato ai più poveri, o ai lavoratori immigrati. Per raffigurare questo processo, Park fa riferimento ad un’evoluzione per cerchi concentrici, come mostrato nella figura. Secondo questa ipotesi, vi sarebbe una tendenza dei residenti a spostarsi dal centro verso la periferia, al migliorare della propria condizione economica. Per intendersi, l’area centrale è la business district, a cui segue la zona di transizione, dove si insediano i primi migranti, si creano gli slum e si trovano le industrie; la terza è dei quartieri operai e la quarta è la zona residenziale benestante. Al di fuori vi è quella dei pendolari, non più circoscritta, perché già esterna alla città.
E’ evidente che l’ipotesi in questione si adatta alle città statunitensi moderne ma non altrettanto a quelle europee, dove, al contrario, non vi è la stessa tendenza a separare la città in aree a seconda dei servizi o dei lavori svolti e dove è il centro storico ad essere più ambito o comunque più costoso.
Ciò in parte è solo una questione di preferenze: mentre un europeo preferisce abitare dove cinema, negozi, locali e uffici sono ravvicinati, al contrario un americano predilige villette a schiera con giardino in un quartiere residenziale e tutto il resto a portata di automobile. In parte, poi, questo modo di strutturare la città è stato sostenuto da una corrente architettonica di inizio Novecento, che da allora ha subito però sostanziali rivisitazioni.
Nonostante quindi l’analisi di Park sia “Chicago-dipendente”, si possono estrapolare alcune considerazioni che si adattano anche alle città europee; l’ipotesi zonale, ad esempio, riguarda anche l’Europa, per quanto l’andamento non segua lo stesso ordine dal centro alla periferia.
Un altro elemento dall’analisi di Park, che può essere esteso alla città in generale, è quello per cui si verifica uno scarto tra la vicinanza fisica e quella sociale, sia nel senso che la condivisione dello stesso luogo di appartenenza comporta più un’accentuazione delle differenze, che una loro assimilazione, sia perchè all’assenza di confini fisici non ne corrisponde una culturale. Per essere più precisi, i confini di una città si ridefiniscono in base al valore abitativo dell’area, che dipende da vari fattori, come la posizione geografica o la collocazione rispetto alla zona industriale o agli slum.
Nei quartieri più poveri vi sono gli immigrati più recenti che, dal momento del loro arrivo si ritroveranno ad affrontare quel processo di assimilazione di cui Park ha individuato alcune tappe obbligate, che sarebbero la competizione, il conflitto, il compromesso e l’assimilazione. In quest’ottica, dunque, se da un lato la metropoli accentua le differenze culturali – ci si riconosce italiani, irlandesi o polacchi in quanto stranieri – d’altra parte tali differenze non sono definitivamente cristallizzate. Rimane il fatto che l’uguaglianza sembra non poter passare se non attraverso una fase di conflitto, ciò che costituisce il primo sfondo comune tra due gruppi contrastanti.
L’approccio teorico di Park verrà rivisto e ampiamente criticato dai suoi successori: una critica in particolare è di non aver considerato abbastanza l’emergere di fenomeni di apertura dei gruppi sociali all’esterno: la segregazione non rispecchierebbe infatti quei comportamenti di gruppi, uniti proprio perché appartenenti ad una certa zona della città e originati dal tentativo di uscire dalla propria condizione (per fare un esempio attuale la rivolta nelle banlieues francesi).
Il contributo di Park rimane comunque indiscusso, a fianco a quello di un altro Professore dell’Università di Chicago, Ernest Burgess, etnografo che in quegli stessi anni si è concentrato in particolare sulla realizzazione di mappe “sociali” e il cui lavoro verrà presentato in ciò che segue.

[1] Nosing Around. L’etnografia urbana tra costruzione di un mito sociologico e l’istituzionalizzazione di una pratica di ricerca. Giovanni Semi. Working papers del dipartimento di studi sociali e politici. 2006
[2] Park, Robert W. Burgess and Roderick D. McKenzie. The City. Chicago: University of Chicago Press, 1925) trad it. La città , Comunità Torino, 1999

1 commento:

emanuele bompan ha detto...

Sull'argomento consiglio l'ottimo libro di Marco D'Eramo "il maiale e il grattacielo"...una città assolutamente interessante....ciao!

emanuele