martedì 19 febbraio 2008

Abstract

Questo Blog si propone di discutere le potenzialità che derivano dall’applicazione del Web all’uso delle mappe. La fruibilità delle mappe, come strumenti di orientamento nelle città, può essere amplificata se le informazioni che riportano non si limitano ad essere di collocazione geografica, ma se combinano ad esse dati di altro tipo, ad esempio sulla sicurezza, sui mezzi di trasporto o sugli eventi pubblici. Attraverso il Web, tali informazioni possono essere fornite dagli utenti stessi. L’idea è quindi di formare una rete collaborativa, che segua i principi del Web 2.0, allo scopo di realizzare mappe della città, create direttamente da chi la vive.

lunedì 18 febbraio 2008

E - maps

L’apporto di Internet all’uso delle mappe è un’innovazione piuttosto recente, che ha radicalmente trasformato la fruibilità di questi strumenti di orientamento.
Il passaggio dalle mappe tradizionali alle mappe on-line, in adattamento continuo ai cambiamenti del paesaggio che rappresentano, ha un’enorme potenzialità che può essere sfruttata in modi diversi, molti ancora da inventare. Più di un e-book, infatti, una e-map permetterebbe di cercare nello spazio virtuale le informazioni di cui si necessita, aggiornate in tempo reale, muovendosi tra i link senza dover seguire un ordine lineare – come quello offerto dal libro - per reperire i dati. E’ nell’idea stessa di mappa fornire indicazioni mirate e personalizzate e internet offre la possibilità di averle sempre attuali, modificandole via via a seconda di ciò che avviene nelle aree interessate. A questo proposito, è interessante un passo di Natural Born Cyborg, del filosofo statunitense Andy Clark, che descrive un futuro ipotetico in cui il paesaggio stesso è in continua trasformazione a seconda delle esigenze delle persone che ci vivono.
“Immagina un mondo in cui le strade e le autostrade si adattino e cambino automaticamente, re -indirizzando se stesse in risposta a modelli di utilizzo. Strade poco usate diventano più piccole e poi svaniscono, strade affollate si espandono automaticamente, variando a seconda del momento della giornata, riconfigurandosi attorno alle aree congestionate. […] Un traffico cibernetico sarebbe qualcosa di simile!”
Per quanto portato all'estremo, il ragionamento di Clark muove dall’idea stessa delle e-maps: lo scenario descritto diventerebbe reale se applicato ad esempio alle carte stradali, che potrebbero cambiare a seconda del traffico giornaliero. Il principio, in fondo, è lo stesso che ha contribuito al successo dei navigatori satellitari, chem semplificando molto, sono strumenti in grado di identificare la propria posizione, sfruttando l’emissione di segnali radio da parte di satelliti posti in orbita intorno alla terra. Come è noto, il sistema è stato impiegato per l'orientamento: installato sui mezzi di trasporto elabora mappe digitali che indicano il percorso da seguire, oltre a dare informazioni sul traffico e percorsi consigliati in base ad esse. Rispetto a quest'ultimo punto, molto si gioca sulla rapidità del passaggio di informazioni: dal momento che il navigatore è in grado di localizzare la propria posizione (ma non ciò che succede a isolati o chilometri di distanza) le fonti di informazione riguardo al traffico sono le segnalazioni via terra, le stesse su cui si basano i bollettini trasmessi via radio e non è stata ancora escogitata una soluzione più efficiente al problema. Comunque, secondo quanto riporta il sito http://www.tomtom.com/, il tempo di trasmissione dell’informazione riguardo un incidente o un imbottigliamento nel percorso scelto da chi guida, dal momento in cui la segnalazione arriva al centro di raccolta di informazioni sul traffico al Tomtom, impiega solo 30 secondi.
Un altro settore in cui l'informazione in tempo reale, trasferita sulle mappe, potrebbe essere ampiamente sfruttata è quello dei trasporti pubblici. A questo proposito, è interessante il progetto del designer italo-francese, Attoma, elaborato in collaborazione con la società di trasporti pubblici di Parigi. (Per vedere il progetto: http://www.attoma-design.com/htm/edito.php). Attoma si occupa di design d’informazione e ha proposto di collocare delle mappe interattive in vari punti delle stazioni della metropolitana, per consentire agli utenti di orientarsi a seconda delle esigenze specifiche. Ha ideato un sistema molto semplice a livello di visualizzazione delle informazioni, da proiettare su schermi al plasma. In sostanza, il servizio, attivato dal 2004, funziona così: su uno schermo, che normalmente proietta video di vario genere, compare, in caso di necessità, la comunicazione di disagi nel servizio e un itinerario alternativo. La figura qui sotto è un esempio che mostra la segnalazione dell’interruzione della linea rossa tra due stazioni, Nation e CDG Etoile, e un percorso alternativo per raggiungere le stazioni intermedie tramite altre linee.
Tale servizio potrebbe essere particolarmente utile in caso di pericolo, indicando ad esempio il luogo dell’incidente e la via di fuga. A Parigi, Attoma è conosciuto soprattutto per aver introdotto nei servizi pubblici il Navigo, una carta magnetica che ha sostituito i tradizioni biglietti del metrò. Dal 2004 circa 3 milioni di persone – secondo quanto riferisce il sito – l’hanno adottata, e imparato ad usarla attraverso terminali interattivi, per comprare biglietti, abbonamenti, ricevere informazioni, etc.

domenica 17 febbraio 2008

Etnografi di Chicago

La prime ricerche sui fenomeni sociali urbani hanno origine in un luogo emblematico per la storia della città moderna, Chicago.
In meno di un secolo, tra il 1940 e il 1930, Chicago è passata, secondo quanto riporta una ricerca sul tema[1], da circa 5000 abitanti nel 1840 a più di tre milioni nel 1930, la maggior parte dei quali provenienti da fuori degli Stati Uniti.
Non c’è da stupirsi, quindi, se gli studi iniziali sui fenomeni di composizione sociale nella città siano emersi proprio dal cantiere vivente che ha assistito per primo a fenomeni di questo genere. Infatti, la scuola degli Etnografi di Chicago, costituita attorno al primo dipartimento di sociologia urbana dell’Università di Chicago, è diventata un punto di riferimento classico nel panorama degli studi sociologici, antropologici ed economici che riguardano la città.
Il lavoro pionieristico si è avvalso soprattutto del vasto materiale empirico che la metropoli stessa offriva e ha sviluppato un metodo di ricerca sul campo, la cui filosofia è espressa dalle parole di uno dei suoi esponenti:

One more thing is needful: first hand observation. Go and sit in the lounges of the luxury hotels and on the doorsteps of the flophouses; sit on the Goald Coast settess and on the slum shakedowns; sit in the Orchestra Hall and in the Star and Garter Burlesk. In short, gentlemen, go get the seat of your pants dirty in real research.” (Park[2])

Elemento di particolarità dell’etnografia è il metodo, che si fonda sulla partecipazione diretta per la raccolta di dati rilevanti all’analisi: se si vuole conoscere la trama del tessuto culturale urbano è necessario immergercisi, perdersi al suo interno, frammentare il proprio punto di vista nei molteplici sguardi di chi la abita. A differenza che per le tradizionali indagini statistiche, l’obiettivo qui è ottenere informazioni a partire dall’esperienza di chi vive direttamente la città.
Oltre al contributo metodologico, Park è stato tra i primi teorici ad esprimersi riguardo al fenomeno di distribuzione sociale urbana e a individuare una tendenza naturale, da parte di ogni gruppo sociale, ad occupare una propria nicchia “ecologica” e a segregarsi al suo interno. La prospettiva teorica di Park è appunto chiamata ecologia umana, per indicare che i fenomeni riguardanti la distribuzione delle forze sociali nella città, e le istituzioni che sorgono per regolarle, seguono dei principi di adattamento all’ambiente in cui si trovano, in modo analogo, per certi versi, a ciò che avviene nel mondo animale o vegetale.
La suddivisione della città – prosegue Park – è dettata dalla diffusione dei trasporti pubblici e dei sistemi di comunicazione: via via che le aree periferiche vengono collegate tra loro e al centro, i quartieri più ricchi diventano quelli residenziali, mentre il centro lasciato ai più poveri, o ai lavoratori immigrati. Per raffigurare questo processo, Park fa riferimento ad un’evoluzione per cerchi concentrici, come mostrato nella figura. Secondo questa ipotesi, vi sarebbe una tendenza dei residenti a spostarsi dal centro verso la periferia, al migliorare della propria condizione economica. Per intendersi, l’area centrale è la business district, a cui segue la zona di transizione, dove si insediano i primi migranti, si creano gli slum e si trovano le industrie; la terza è dei quartieri operai e la quarta è la zona residenziale benestante. Al di fuori vi è quella dei pendolari, non più circoscritta, perché già esterna alla città.
E’ evidente che l’ipotesi in questione si adatta alle città statunitensi moderne ma non altrettanto a quelle europee, dove, al contrario, non vi è la stessa tendenza a separare la città in aree a seconda dei servizi o dei lavori svolti e dove è il centro storico ad essere più ambito o comunque più costoso.
Ciò in parte è solo una questione di preferenze: mentre un europeo preferisce abitare dove cinema, negozi, locali e uffici sono ravvicinati, al contrario un americano predilige villette a schiera con giardino in un quartiere residenziale e tutto il resto a portata di automobile. In parte, poi, questo modo di strutturare la città è stato sostenuto da una corrente architettonica di inizio Novecento, che da allora ha subito però sostanziali rivisitazioni.
Nonostante quindi l’analisi di Park sia “Chicago-dipendente”, si possono estrapolare alcune considerazioni che si adattano anche alle città europee; l’ipotesi zonale, ad esempio, riguarda anche l’Europa, per quanto l’andamento non segua lo stesso ordine dal centro alla periferia.
Un altro elemento dall’analisi di Park, che può essere esteso alla città in generale, è quello per cui si verifica uno scarto tra la vicinanza fisica e quella sociale, sia nel senso che la condivisione dello stesso luogo di appartenenza comporta più un’accentuazione delle differenze, che una loro assimilazione, sia perchè all’assenza di confini fisici non ne corrisponde una culturale. Per essere più precisi, i confini di una città si ridefiniscono in base al valore abitativo dell’area, che dipende da vari fattori, come la posizione geografica o la collocazione rispetto alla zona industriale o agli slum.
Nei quartieri più poveri vi sono gli immigrati più recenti che, dal momento del loro arrivo si ritroveranno ad affrontare quel processo di assimilazione di cui Park ha individuato alcune tappe obbligate, che sarebbero la competizione, il conflitto, il compromesso e l’assimilazione. In quest’ottica, dunque, se da un lato la metropoli accentua le differenze culturali – ci si riconosce italiani, irlandesi o polacchi in quanto stranieri – d’altra parte tali differenze non sono definitivamente cristallizzate. Rimane il fatto che l’uguaglianza sembra non poter passare se non attraverso una fase di conflitto, ciò che costituisce il primo sfondo comune tra due gruppi contrastanti.
L’approccio teorico di Park verrà rivisto e ampiamente criticato dai suoi successori: una critica in particolare è di non aver considerato abbastanza l’emergere di fenomeni di apertura dei gruppi sociali all’esterno: la segregazione non rispecchierebbe infatti quei comportamenti di gruppi, uniti proprio perché appartenenti ad una certa zona della città e originati dal tentativo di uscire dalla propria condizione (per fare un esempio attuale la rivolta nelle banlieues francesi).
Il contributo di Park rimane comunque indiscusso, a fianco a quello di un altro Professore dell’Università di Chicago, Ernest Burgess, etnografo che in quegli stessi anni si è concentrato in particolare sulla realizzazione di mappe “sociali” e il cui lavoro verrà presentato in ciò che segue.

[1] Nosing Around. L’etnografia urbana tra costruzione di un mito sociologico e l’istituzionalizzazione di una pratica di ricerca. Giovanni Semi. Working papers del dipartimento di studi sociali e politici. 2006
[2] Park, Robert W. Burgess and Roderick D. McKenzie. The City. Chicago: University of Chicago Press, 1925) trad it. La città , Comunità Torino, 1999

sabato 16 febbraio 2008

Mappe qualitative


Nel laboratorio di ricerca urbana, del dipartimento di sociologia dell’Università di Chicago, un collega di Park, Ernest W. Burgess, nel 1926 elaborò coi suoi studenti la Social Science Research Base Map of Chicago, una carta che riportava le zone industriali, la rete dei trasporti e la distribuzione dei gruppi linguistici nella città. Questa mappa costituì la base di molti lavori successivi, realizzati combinando insieme informazioni di carattere geografico, politico e di sviluppo urbanistico per studiarne le eventuali correlazioni.
Al sito internet della biblioteca dell’università è possibile consultare un catalogo di mappe di geografia sociale - Social Scientists Maps of Chicago - tra cui quella descritta sopra, che vanno dalla fine dell’Ottocento ad oggi. Altre si trovano al sito dell’Encyclopedia of Chicago, che ne raccoglie molte, anche perché Chicago all’inizio del Novecento è diventato un caso di studio, la cui espansione, soprattutto a livello cartografico, è stata ampiamente documentata.
I criteri con cui sono state realizzate le mappe sono svariati: la distribuzione degli immigrati, la suddivisione in base al valore economico delle aree, le zone a rischio di criminalità o di malattie; i teatri, i cinema e i locali di blues; altre documentano lo sviluppo dei trasporti, delle aree edificate (ad esempio una di queste, del 1930, riporta gli edifici tra i 7 e i 12 piani e quelli oltre i 12) o del verde. In molti casi sono affiancate in successione, così da valutare lo sviluppo delle variabili in questione nel tempo.
Per fare un esempio, la mappa sui cinema documenta un’esplosione nella diffusione delle sale nella prima metà del Novecento, soprattutto a downtown, e una successiva diminuzione – nel 2002 nel Loop ne erano rimaste solo due – che testimonia la svalutazione delle aree centrali in favore di quelle residenziali. Un altro caso che merita uno sguardo è la mappa delle gang rivali di Chicago del 1931 (Maps of Chicago's Gangland): la città è suddivisa in base alle zone di dominazione delle gang, tra cui domina quella di Al Capone. Certamente, si tratta di una mappa “romanzata”, realizzata con l’intento di diffondere la propaganda proibizionista e di tenere lontani i giovani dalle zone mal frequentate della città. Ma nei casi normali, e soprattutto in alcune metropoli, documentare le aree più rischiose è utile per la cittadinanza, i visitatori o la polizia.
Un altro dato fondamentale riguardo le abitudini urbane sono i movimenti coi trasporti pubblici. E’ del 1930 una mappa che riporta il numero degli utenti che ad ogni stazione ed in entrambe le direzioni si servivano del treno. In questo caso la raccolta di dati è quantitativa e l’idea di mettere le informazioni sulla mappa una scelta per facilitarne la visualizzazione. Nel caso delle grandi città, e quindi dei grandi numeri, le mappe offrono un sistema per disporre le informazioni, un’interfaccia, che rende i dati molto più fruibili rispetto, ad esempio, ad un semplice elenco numerico. In generale, diventano uno strumento essenziale per sintetizzare delle informazioni, geografiche e insediative, da cui qualsiasi intervento sul territorio non può prescindere.
Un’analisi simile è normalmente il presupposto del piano regolatore dei comuni, che regola, appunto, l’uso e la tutela del territorio, per la destinazione privata, pubblica e per le infrastrutture, sulla base di leggi che stabiliscono il rapporto tra abitanti e, ad esempio, numero delle scuole, degli ospedali, ecc. Dal momento che il numero degli abitanti non è fissato e le esigenze cambiano nel tempo, col progresso economico, tecnologico ecc., un piano regolatore dovrebbe essere in grado di prevedere lo sviluppo di una città, oltre che considerare una serie di variabili, come ad esempio, il flusso di immigrati, che magari vi trascorreranno solo un breve arco di tempo, le esigenze che porteranno con sé e i servizi da offrire di conseguenza.
Lo sviluppo di una città è un processo duplice: se da un lato procede in maniera spontanea e dipende da chi vive, arriva e lavora nella città, d’altra parte può essere incanalato dagli interventi che vi si operano: la difficoltà nella valutazione dipende dal fatto che le previsioni teoriche richiedono un aggiustamento continuo coi dati concreti. Più dati si raccolgono, quindi, più è possibile rendere le previsioni accurate. Come si è già detto, allo studio del territorio e della sua morfologia è significativo affiancare aspetti sociali, politici, economici e culturali. La raccolta dei dati può procedere per via quantitativa, basandosi su indagini statistiche, ma anche per via qualitativa, basandosi cioè sulla percezione diretta dei cittadini o di chi vi trascorre un periodo di tempo. In questo caso il metodo potrebbe procedere per interviste ad esempio sulla percezione della sicurezza, la qualità della vita, la valutazione estetica del paesaggio naturale e architettonico.
A questo proposito sono da segnalare due progetti che prevedono la realizzazione di una serie di mappe qualitative, da affiancare a quelle tradizionali. Spostandoci da Chicago all’Italia e in particolare alla provincia di Milano, l’associazione dei costruttori edili, Assimpredil Ance, ha promosso un’iniziativa per la creazione di un archivio di mappe, che accostino informazioni geografiche, sociali ed economiche per valutare i cambiamenti in atto sul territorio. Il progetto, chiamato e- mapping e a cui lavora un gruppo composto da imprenditori, urbanisti, architetti, sociologi e economisti, è volto a realizzare mappe georeferenziate, in cui cioè le informazioni sono riportate su mappe, grazie ad un sistema informatico che implementa i dati numerici su un supporto grafico, permettendo così una loro sintesi e contrapposizione.
Per quanto riguarda la cartografia del territorio di Milano e della regione Lombardia, attualmente i siti internet della provincia e della regione offrono un collegamento al Sit, il sistema informativo territoriale, da cui, registrandosi e installando un programma, è possibile consultare o scaricare il materiale, che perlopiù riguarda l’uso del suolo, i vincoli territoriali, storici, ecc., allo stato attuale.
Tra gli aspetti innovativi del progetto e-mapping, oltre alla creazione di un archivio unificato di mappe sull’espansione e lo sviluppo del territorio, è la raccolta di dati di tipo socio - economico. Milano è una città in continua evoluzione da questo punto di vista e richiede strutture che la supportino di conseguenza. Per fare un esempio, uno studio è relativo alle aree della città più coinvolte durante la settimana della moda e la mappa qui a lato riporta la concentrazione dei visitatori durante tale periodo. Ma oltre a questo si possono immaginare svariati criteri per osservare le dinamiche sociali della città e offrire servizi relativi. Come rilevare le aree più frequentate, ossia i diversi centri della città, a seconda dei momenti della giornata o degli eventi in programma. O ancora, confrontare la distribuzione degli immigrati sul territorio e le diverse esigenze dei quartieri che li ospitano. Per ottenere informazioni di questo tipo, una fonte potrebbero essere i residenti stessi. Oltre ai dati quantitativi, il progetto prevede infatti di raccogliere giudizi qualitativi, emessi da chi frequenta la città. E’ da precisare che, affinché la percezione soggettiva sia trasposta su mappe diventando così un elemento di valutazione sulla città, è necessario tradurla in cifre, secondo dei parametri scelti a priori. Così, attraverso una specie di censimento, si potrebbe fare una stima della percezione soggettiva di determinati aspetti della vita urbana.
Alla realizzazione specifica di mappe qualitative è dedicata anche un’altra iniziativa che vede come protagonista la città di Piacenza. Anche in questo caso ad occuparsene è un gruppo eterogeneo di persone: antropologi, architetti, geografi, semiotici e i risultati dello studio verranno esposti in una mostra che si terrà nella città stessa a fine Marzo. Il punto di partenza teorico è che, attraverso interviste ai residenti, si possano individuare i vuoti della città, quelle aree che o per vincoli territoriali, urbanistici o semplicemente di apprezzabilità non sono considerate, frequentate, vissute. Piacenza è una città emblematica per la tranquillità – molti dei suoi abitanti affermano la noia – della vita sociale e culturale. E’ una città rivolta in generale verso l’interno, come testimoniano le finestre e i balconi degli edifici che affacciano preferibilmente sui cortili privati, molti dei quali, noti per il loro decoro, costituiscono un vanto per la città, per quanto non siano luoghi di aggregazione o di passaggio. A Piacenza, giusto per segnalare un caso estremo, molte strade sono prive di marciapiedi, mentre non mancano servizi accurati alla viabilità automobilistica. Il tentativo di capire il motivo per cui la città sia così priva di spazi pubblici ha portato all’idea di creare delle mappe della città che rappresentino la percezione di essa da parte dei suoi abitanti.
Attraverso il metodo dell’intervista diretta, i ricercatori hanno condotto le proprie analisi chiedendo ad esempio di tracciare su una mappa le aree avvertite come più o meno sicure, quelle più apprezzate, inquinate, benestanti o ad alta densità di immigrati. Un risultato interessante è lo scarto tra la percezione soggettiva, che tende ad uniformarsi, e l’effettiva situazione. Ad esempio, le zone ritenute dalla maggior parte delle persone pericolose nelle ore notturne non sono più frequentate che le zone cosiddette sicure. L’idea che di notte vi siano in giro solo immigrati o militari (Piacenza ospita una base americana) non corrisponde al fatto che dopo una certa ora la città sia invece completamente deserta.
Ciò conduce almeno ad una considerazione. Se infatti si dovesse formare una rete collaborativa per tenere informati sulle attività della città, magari la fonte più attendibile non sarebbero i residenti stessi, o comunque non dovrebbe essere l’unica. Come si è visto, infatti, un pregiudizio sarebbe difficilmente smentito. Uno sguardo disincantato potrebbe essere quello di un visitatore esterno, come qui quello dei ricercatori, cosa che da un lato rende il loro lavoro interessante e utile, ma che d’altra parte indica almeno un limite della conoscenza di “massa”. Però, già a partire da questa consapevolezza, si potrebbe ad esempio considerare, come criterio per valutare l’affidabilità delle informazioni, che la fonte non si limiti ad essere la voce dei cittadini, ma anche quella di visitatori esterni. Non a caso, infatti, le guide turistiche sono in genere state scritte a loro volta da turisti, come a dire che chi vive in una città, talvolta non offre la prospettiva migliore con cui guardarla.

venerdì 15 febbraio 2008

Mappe di relazioni


La potenzialità della rete rispetto all’uso delle mappe è di mettere a disposizione una quantità enorme di informazioni, continuamente aggiornate, e spazialmente collocate. Quando tali informazioni vengono fornite dagli utenti stessi, non solo ed esclusivamente da un ente specifico, si parla di conoscenza collaborativa, e cioè di un sistema di diffusione di conoscenze in cui gli utenti stessi collaborano continuamente ad aggiungere, correggere e migliorare i dati. Se mi si concede il paragone con la conoscenza scientifica, attraverso questo sistema viene meno il riferimento al principio di autorità a cui ci si è abituati ad attribuire la garanzia del sapere: in questo modo si rivela invece non solo che tale principio non è necessariamente fondato, ma anche che spesso è proprio la possibilità di correzione insita in tali sistemi uno degli strumenti migliori per garantire l’affidabilità del messaggio. Tornando alle mappe, e in particolare a quelle urbane, l’idea che la fonte di informazione diretta sulla città fossero i cittadini stessi risale ad una delle prime scuole di scienze sociali, in particolare quella di antropologia urbana dell’Università di Chicago degli anni Venti del Novecento. Oggi, con Internet, questo sistema si è rivelato nuovamente attuale e si sta sviluppando significativamente, anche se molte delle misure e delle strategie di valutazione dell’informazione rimangono ancora da esplorare. Per il momento infatti - almeno dalle ricerche che ho svolto finora - l'idea di mappe collaborative è ancora agli inizi della sua espansione: uno degli usi principali è a scopo didattico. Con google maps si ha l’opportunità di costruire percorsi sulle carte, inserendo etichette sopra i siti di interesse. Un limite di questo servizio è che la visualizzazione non è delle migliori e, quando vi è un’alta concentrazione di luoghi contrassegnati, questi si sovrappongono in maniera poco chiara; ma comunque offre uno strumento intuitivo a livello visivo e permette una sintesi efficace delle informazioni, che possono facilmente essere ampliate, corrette o riviste. Un altro ambito in cui le mappe costituiscono una fonte preziosa di dati sono le guide turistiche. Nel caso di viaggi tematici, ad esempio, si potrebbero seguire le mappe di chi precedentemente ha già percorso un itinerario, lasciando informazioni sui vari posti. Anche in questo caso, il procedimento seguirebbe quello di un network sociale, in cui chi vuole collabora alle informazioni raccolte. Certo, è probabile che chi viaggia non abbia voglia di passare del tempo ad aggiornare dati, ma anche senza arrivare a far questo, ci si può limitare ad operazioni di filtraggio cooperativo. Così come Amazon propone per ogni libro una scheda di valutazione, con una serie di informazioni che riguardano chi l’ha comprato, ad esempio quali altri libri ha già preso, lo stesso potrebbe essere fatto con le informazioni turistiche. Chi volesse suggerire la visita ad un determinato sito archeologico, ristorante o museo potrebbe riferire quali altri luoghi ha visitato, apprezzato, ridimensionando così l’eventualità che la pubblicità sia fatta da chi ne guadagna direttamente. Oltretutto, questo sistema avrebbe la possibilità di essere sempre aggiornato, senza costringere l’utente a comprare, ogni volta che viaggia, guide al passo coi tempi. Un altro caso, ma meno significativo, è quello proposto da flickr. All'indirizzo http://flickrvision.com/ su una mappa del pianeta vengono visualizzate le foto che ogni utente di flickr carica in quel momento su internet. Ho però provato personalmente ad usarlo e la mia foto non è comparsa tra quelle che, secondo quanto dice il sito, dovrebbero essere pubblicate su internet negli ultimi minuti. Analogamente, http://twittervision.com/ dà lo stesso tipo di servizio, ma in questo caso trasmettendo messaggi istantanei.
Un aspetto fondamentale, che coniuga Internet e le mappe e si presta ad essere sfruttato più significativamente, riguarda invece le mappe come piattaforme di collegamento tra dati diversi. Per quanto infatti la rete metta a disposizione una quantità immensa di informazioni su ciò che succede in ogni angolo della terra connesso in quel momento, rimane però il problema che i motori di ricerca non sono in grado di sintetizzare e creare collegamenti tra informazioni diverse. Per fare un esempio, rispetto ad un articolo su un quotidiano classico, le notizie disponibili sulle corrispettive versioni on-line sono in genere puramente “quantitative”, flash senza alcun commento ulteriore; tanto meno è offerta una sintesi di dati diversi, ma collegati tra loro. Per il momento, soltanto un lettore dotato di un certo senso critico è in grado di farlo. Un motore di ricerca invece non trova ad esempio ‘tutte le città statunitensi che hanno votato per un certo candidato X", piuttosto che ‘tutti i film girati nel 2005’.
Attualmente, le principali ricerche in ambito informatico sono orientate appunto verso il web semantico, per sostituire il sistema fondato sui collegamenti ipertestuali con forme di collegamento più complesse, che siano in grado di condurre delle ricerche strutturate, basandosi su un nuovo sistema di classificazione delle informazioni. Una delle ricerche più promettenti in questo ambito - informazioni a riguardo sono reperibili all’indirizzo http://dbpedia.org/About - si occupa di Web semantico applicato a Wikipedia. Dato che gli articoli contenuti nell’enciclopedia sono all’incirca due milioni, essi offrono una base di partenza ricchissima per studiare nuove modalità di ricerca strutturata.
In sostanza, la rete è una mappa che si sta cercando di rendere più complessa e il problema consiste nell'elaborare un sistema che permetta di instaurare collegamenti sempre più sofisticati. Riguardo ai sistemi di associazione di informazioni, le mappe sono un struttura, puramente formale, che combina tra loro una serie di dati, che altrimenti sarebbero sconnessi e quindi inutilizzabili. Certamente esse offrono una struttura puramente sintattica, la quale però può essere informativamente molto ricca.
Per fare un esempio molto semplice, gli autori del sito http://www.theyrule.net/, hanno elaborato un sistema che mira a individuare i collegamenti tra i vertici di alcune delle più importanti compagnie statunitensi. In questo caso l’intento è eminentemente politico e consiste nel rendere noti i legami tra alcuni dei personaggi più influenti, a capo di varie istituzioni del paese. I dati sono stati rintracciati dai siti web di ognuna delle compagnie e in seguito semplicemente collegati tra loro, con un sistema di visualizzazione che mostra lo staff dirigente di una compagnia e tutte le altre istituzioni a cui ogni responsabile è a capo. Nel caso specifico si tratta di uno strumento di denuncia sociale, ma una struttura simile potrebbe essere sfruttata in molti altri modi, dal momento che offre un criterio di valutazione basato sulla reputazione e dà uno strumento in più a chi è in cerca di informazioni, per rintracciare o escludere determinate figure. Quello che si è considerato è solo un esempio di come si possa creare informazione semplicemente dalla forma attraverso cui si dispongono le informazioni. Il problema, qui solo accennato e che rimane aperto, è quello di capire come si strutturino mappe in grado di compiere associazioni sempre più complesse e ricche di dati, non basate semplicemente su singoli elementi del testo, ma sul suo signficato; ancora più alla base si tratta di comprendere su quali criteri potrebbero fondarsi le associazioni e quindi generare le mappe stesse. Per concludere, dunque, le mappe costituiscono l’esempio di una struttura sintattica grazie alla quale, anche solo sulla base di connessioni formali, si possono creare dei sistemi di raccolta delle informazioni; posto così il problema sembra non allontanarsi molto dalle ricerche che riguardano i meccanismi di trasmissione delle informazioni nel cervello.


Altre informazioni riguardo alle ricerche del Web semantico:

giovedì 14 febbraio 2008

Mappe, rete e pensiero

In una conferenza tenuta nel 1951, intitolata “Costruire, abitare e pensare”[1] Heidegger discute il problema della relazione tra spazio e pensiero. Le considerazioni da cui muove riguardano la radice etimologica del verbo abitare, in tedesco bauen, che rivela una originaria vicinanza al verbo costruire, sia nel senso di edificare che di coltivare, e ancor più significativamente al verbo ich bin, io sono. L’idea di Heidegger è che l’abitare sia inscindibilmente connesso al costruire: costruire e abitare non stanno tra loro nella relazione di mezzo a un fine, infatti “non è che noi abitiamo perché abbiamo costruito; ma costruiamo e abbiamo costruito perché abitiamo, cioè perché siamo in quanto siamo gli abitanti(p.98). Si può intravedere, nelle parole di Heidegger, un’anticipazione del concetto più recentemente formulato nell’ambito delle scienze cognitive, dell’embodied cognition, secondo cui lo studio della cognizione umana non può prescindere dal suo essere inserita in uno spazio concreto, quest’ultimo che concorre a strutturare il pensiero stesso. Dice infatti il filosofo tedesco, “lo spazio non è qualcosa che sia di fronte all’uomo” (p.104), intendendo con ciò non solo che il concetto di spazio si estrae dagli oggetti concreti e non esiste anteriormente ad essi, ma anche che lo spazio non può essere ridotto a un contenuto mentale, perché tale rappresentazione è essa stessa formata dallo spazio, per come è percepito. Riportando l’esempio del testo, se pensiamo ad un ponte, il contenuto mentale di questo pensiero è dato dal ripercorrere lo spazio occupato fisicamente dal ponte. Analogamente a come, esempio mio riferito però al tempo, se ricordiamo una musica, riascoltiamo nella mente i suoni che si sono susseguiti l’uno dopo l’altro. Proseguendo, viene quindi da chiedersi cosa significhi propriamente abitare e quali siano le costruzioni, e quali no, che soddisfano tale caratteristica. Per entrare nel merito del discorso, è necessario introdurre la distinzione di Heidegger tra luogo e spazio. Lo spazio, secondo l’etimologia del termine, è qualcosa che è sgombrato, reso libero entro determinati limiti. Quando qualcosa occupa una porzione di spazio, ad esempio un ponte sopra un fiume, si crea così un luogo, che prima del ponte non esisteva. In questo senso: “Gli spazi ricevono la loro essenza non dallo spazio, ma da luoghi.” (p.103)
Ciò conduce ad alcune considerazioni: intanto che ogni progetto architettonico non può che essere elaborato in conformità con le caratteristiche di dove si insedia, seguendo i cambiamenti del paesaggio in cui interviene: per ogni paesaggio, quindi, un’architettura sua propria. Legato a ciò si aprono una serie di riflessioni sulla forma dell’abitare che meglio permetterebbe di realizzare la natura umana. Quando Heidegger introduce il concetto di spazio, come ciò “che è liberato entro certi limiti”, sottolinea che il significato di libertà sia di “lasciar essere qualcosa nella sua essenza” (p.103). Si crea quindi una tensione tra il particolare – riferito ad ogni luogo concreto determinato da un posto – e l’universale - inteso come la ricerca a cui l’edificare dovrebbe tendere per individuare quei principi dell’abitare che permetterebbero all’uomo di esprimere al meglio le proprie potenzialità. Se è vero, come dice Heidegger, che siamo ciò che abitiamo, allora dovrebbe esserci una linea di continuità tra il miglioramento dell’abitare e lo sviluppo delle potenzialità di chi vi abita.
Per riassumere, spazio è ciò che è libero in determinati limiti, entro i quali è dato a qualcosa di esprimere la sua essenza; costruire è fondare e disporre uno spazio; si tratta allora di capire quali siano le costruzioni – nel senso delle abitazioni - o gli strumenti – in senso tecnologico – che liberano le potenzialità di chi ne usufruisce. Anche la tecnologia infatti è uno strumento che concorre a sviluppare le abilità umane, nella misura in cui consente di scaricare all’esterno compiti ingombranti a livello cognitivo, permettendo così all’uomo di orientarsi più facilmente nel mondo e sviluppare di conseguenza altre abilità. Con le parole di Heidegger, “tecnica, per i greci non significa né arte né mestiere, ma: far apparire qualcosa tra le cose presenti. I greci pensano il produrre in base al far apparire” (p.106). Ciò rimanda inequivocabilmente all’idea di creazione di luoghi, nella tecnologia così come nel paesaggio: trasportando il discorso di Heidegger in termini attuali, non è in fondo la Rete un sistema amplificato di ponti che instaurano collegamenti, e quindi creano luoghi, ravvicinando e mettendo in contatto punti prima separati? Analogamente ad un ponte, la Rete è una costruzione che crea un luogo, occupando uno spazio, e dando così vita ad una nuova forma all’abitare. “A partire da questo posto si determinano le località e le vie, in virtù delle quali uno spazio si ordina e dispone”. La tecnologia è una forma dell’abitare e quindi “l’uomo è in quanto abita”, può diventare l’uomo è in quanto dispone della tecnologia. Questa non è semplicemente un mezzo per un fine, la vita pratica dell’uomo, ma è essa stessa già l’uomo. E da qui si può procedere oltre: il ponte è nel concreto ciò che a livello astratto è un sistema di riferimento, all’interno del quale le cose si dispongono l’una nei confronti dell’altra. Ancor prima di Heidegger, Cartesio ha tracciato la prima mappa concettuale: gli assi cartesiani, e il piano che da essi ne risulta, dispongono infatti il limite all’interno del quale si erige il pensiero.
Per concludere con le parole di Heidegger: “che il pensare stesso, nel medesimo senso che il costruire, rientri nell’abitare, solo in un modo diverso, può attestarlo il tentativo di pensiero che qui abbiamo condotto” (p.107).




[1] Pubblicata in Heidegger, M. 1954 Vorträge und Aufsätze, trad. it. Saggi e discorsi“ 1976, Mursia Editore Milano.